Compassionevole, e lacrimoso caso, nuovamente occorso nella Città di Pesaro

Title

Compassionevole, e lacrimoso caso, nuovamente occorso nella Città di Pesaro

Subtitle

D’un Mastro da Scola, quale mosso da invidia uccise un suo Discepolo, e nè fece otto quarti; Con un lamento ch’ei fece quando per ciò fù preso, & condennato à morte.

Synopsis

A schoolmaster in Pesaro murders his pupil and cuts him into 8 pieces. One song in third person voice followed by song in first person voice of school master.

Set to tune of...

ottava rima

Transcription

O’Sommo Iddio, quanto il nemico astuto
Procaccia, d’ingannar l’humana gente,
E’l ben che noi facciamo sia perduto,
Investiga, e cerca l’astuto serpente,
Io voglio un caso horrendo, c’hò veduto
(A Dio piacendo) contar à la gente.
Come per tutt’hormai la fama vola,
D’un povero meschin Mastro da Scola.

Costui haveno gran desio d’udire,
Che la sua fama pervenisse à buoni,
Pronto si pose e con un grand’ardire
A’ far che quella por tutto risuoni;
Ma tosto il cor voltò, state à sentire,
Quello ch’avviene à chi dispregia i doni
Del Sommo Iddio; poiche gl’entrò nel petto
D’uccider di sua mano un gionanetto.

Essendo il gentil figlio, hormai salito,
Mediante sue virtuti à tant’altezza,
Che’l Mastro superar si vide ardito,
Mostrando chiaro sua natura avvezza
Apprender tutto; ma da quel tradito
Fù con gran crudelta, e scelleratezza:
Onde nè segui poi, che di quell’empio
Si fece à tutt’il popol chiato essempio.

Vedendo quell’esperto giovanetto,
Che’l Precettore suo no’l può vedere
Lascia la Scola, e volta l’intelletto
Verso cupido, e in cose più leggiare:
Il Mastro, che d’invidia ha colmo il petto
Anch’ei cosi vuol far fuor del dovere
Con la propria sua amata, e lei gentile
Quello discaccia come infame, e vile.

Non sà più come far quel scelerato,
E la gran rabbia tutto dentro il rode;
Poiche ne la dottrina superato
Si trova, & in amar dal giovin prode:
Ma pensa, che quel figlio cestumato
Uccider vuol, come si vede, & ode,
E sempre và pensando ( ò caso strano)
Come uccider lo possa l’inhumano.

E gli sapeva, ch’era suo costume
Dopo’l disnar di riposarsi un poco,
E mentre’l figlio l’uno, e l’altro lume
Hà chiuso il tradito a poco, a poco.
A’ quel s’accosta, ch’à narrar’un fiume
Di lagrime faria si crudo gioco
Con una mano ne’ bei crin l’afferra,
E l’altra co’l raso la gola i serra.

Da l’estremo dolor, quel gentil figlio,
Svegliato alza la testa, e la man pone
Sopra del taglio già fatto vermiglio,
E sol con cenni mosso à compassione
Havria una Tigre, e pur bagnava il ciglio
Quasi dicendo al suo Rabi Nerrone;
Poiche nel cader suo si vide impresso
La forma de la man nel sangue istesso.

E visto c’hebbe il traditor disteso,
L’innocente figliuolo, si ritira,
E ne l’animo suo stava sospeso,
Che far dovesse: pur ritorna, e mira
Il corpo, e poi lo leva sù di peso,
Pensando al caso rio, piange, e sospira,
Ma si risolue, e pria chè da lui parti
Spogliarlo, e pei quel far in otto quarti.

Quarli portava poi sotto la veste
Fuori della Citta de ad uno, ad uno
In un loco desorto, over alpeste,
Dove habitar non vede huomo alcuno
Senza punto pensar, che manifeste
Son l’opre nostre à Dio, ch’e Trino, & uno
Nasconde il figlio in seno à la gran Madre,
Acciò non vadi tal notitia al Padre.

Quello non tarda à licentiar’il resto
De’suoi Scolari con finta occasione
Di far’un viaggio tutto afflitto, e mesto
Fin’à Loreto sol per gran passione,
Ch’ei sentiva nel cuor tanto molesto
D’haver fatta si perfida uccisione,
Di là si parte, e pensa esser sicuro;
Ma fù preso (oh caso iniquo, e duro.)

Essendo ito in altra terra à fare
Pur l’essercitio del Mastro da Scola,
Va giorno essendo andate à comperare
Diversissime cose; ma una sola
Trovò, che gli mancava per mangiare,
Votendo in tutto satisfar la gola,
Quella comoprando, arrivò quei Mercanti,
Che per il morto figlio fer gran pianti.

Fù da lor conosciuto prestamente;
Ben che forma diversa havesse preso,
Chiamata la Giustitia immantinente,
Acciò da quella fusse ligato, e preso,
Il Capitano arriva, e’l suo Tenente,
Frà li quali fu molto vilipeso
Gridando ad alta voce, mi fan torto,
Non mi stringete più, hoime son morto.

Gionto, che fù dinanzi al Tribunale
Della Giustitia, gli danno il tormento
Per chiarii si s’havea commesso il male,
Ose’l gran querelato à tradimento;
Ma non si tosto si senti far male,
Che’l tutto confessò senz’ altro stento,
E di nuovo tornerno à far l’essame,
E poi fù condennato à morte infame.

Si racoglie in se stesso, e si ritira,
Pensando al crudo annuntio, che gli è dato,
E’l grave fallo suo piange, e sospira;
Poiche per quello à morte è condennato,
Che sia lasciato di prigione; aspira,
Tanto, che và in quel luoco abbandonato,
Dove sottrè quei quarti del figliuolo,
E scoprirli à sua man con grave duolo.

Di nuovo ricondotto à la prigione
Dimanda in cortesia carta, & inchiostro,
Perche vuol far palese à le persone
Quanto fragile sia il viver nostro;
Cosi fece un lamento che Nerone
Indolcito haveria, com’hor vi mostro,
Poiche il pover meschin piangendo forte
Vien dato in preda al Boia, e va à la morta.
IL FINE.

LAMENTO
Del detto Mastro con i suoi Membri, e cominciò dal Cuore.

O Crudo Cuore mio, perche pensasti
Di commetter’ error tanto crudele?
Perche voi occhi traditor mirasti,
E cagioni tosti poi c’hor mi querele?
Ditemi orecchie voi, perche ascoltasti?
Voi bocca e naso non gustaste fele
Più tosto che permettere c’habbia fatto
Cosa che perir poi il fà in un tratto.

O mani traditrici ò piedi ingrati
Non fosti voi cagion del mio languire?
Forte pur dianzi da me tanto amati,
Et hora insieme ci convien perire;
Voi gambe, che quegli altri membri ingrati
Portasti alla Giustitia trasgredire
Il corpo lamentar si può e la schena,
Che condotti gli havete à tanta pena.

In somma lamentare, e non à torto
Mi posso con ragione giusta, e vera
Di tutti voi ch’incambio di conforto
Voi mi fate veder l’ultima sera,
Se voi sete cagion ch io giaccia morto,
Vostra allegrezza non sarà già vera:
Poiche consentienti al trasgredire
Pria fosti, sarete anco al gran martire.

Pio havessi tempo di narrar mia vita
Un’intiero volume vorret fare,
Ma sento un discipline, che m’invita,
Ch’io m’i debba al supplicio apparechiare,
E sento l’alma mia tutta smarrita,
E tre mante poi ch’hà d’abbandonare
Il corpo e lui ancor grave dolore
Sente per sua pietade, e grande amore.

Già cha (mal grado mio) hor mi conviene
Finir il mio lamento in pene, e guai
Sento che’l sangue si gela in le vene,
Perch’è vicina la mia morte hormai,
Io prego il Sommo Dio, che tante pene
Non sian ragione de gli eterni guai,
Ma che lo spirito mio al Ciel ritorni,
Dove (piacendo a lui) stanzi e soggiorni.

Cosi vi prego tutti, ò circostanti,
Ch’à l’atio, e à la passion non date albergo,
Che l’esperienza havete hormai di tanti,
Quali hanno le virtudi poste à tergo,
E la lor mala fin pensar inanti,
Non voler com’ anch’io: onde sommergo,
Vi prego adunque con doglia infinita
A viver di memeglio in questa vita.

A te mi volto, ò Redentor del Mondo,
Venia chiedenao de’ peccati miei,
Tù conosci c’hà it cor contrito, e mondo,
Se tale è il mio, perdona i falli rei,
Ti prego non guardar ch in questo Mondo
Io non facessi quello, che dovei,
E insieme prego ancor’il Padre Eterno,
Per sua bontà, mi scampi dall’Inferno.
IL FINE.



Method of Punishment

breaking on the wheel?

Crime(s)

murder

Date

Execution Location

Pesaro

Printing Location

Posto in luce per L. P.
In Pesaro, & in Bologna, per Gio; Paolo Moscatelli, 1618.

Files

IMG_0427.JPG
IMG_0426.JPG
IMG_0428.JPG
IMG_0429.JPG
IMG_0430.JPG
IMG_0431.JPG
IMG_0433.JPG

Tags

Citation

“Compassionevole, e lacrimoso caso, nuovamente occorso nella Città di Pesaro,” Execution Ballads, accessed April 17, 2024, https://omeka.cloud.unimelb.edu.au/execution-ballads/items/show/1177.

Output Formats