Pietoso Lamento che fece La Signora Prudenza Anconitana
Prima che fosse condotta alla giustizia

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Pietoso Lamento che fece La Signora Prudenza Anconitana
Prima che fosse condotta alla giustizia

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Coll'aggiunta di tutto il caso successo di nuovo,
quanto disse, e scrisse di sua propria mano.

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Fuggir non si puö_ mai quel che'l Ciel vuole,
E chi non crede a me risguardi e miri;
Ch'ebbi propizie Stelle, Luna e Sole.
Ed or contro di me son volti in ira
Giove, Saturno e'l furibondo Marte;
Tal ch'ogni amico mio piange e sospira:
D'Ancona io venni in la Toscana parte,
Privandomi di spassi e di piaceri,
Di quelli che puö_ far natura ed arte,
Non mascavano a me case e poderi,
Vesti, tappezzerie, robe e denari,
Cavalli, servitor, fanti e scudieri.
Or mancati mi son gli amici cari,
Per l'ingiusto sfrenato mio desio,
Sicch ciascuno alle mie spese impari.
Non mi duol tanto del mio caso rio,
Quando d'Ancona bella, e piö_ castelle,
Che doglia grande avran del morir mio.
E voi dolenti e miseri Sorelle,
Mi duol sol del mio mal per vostra amore,
Ch'avrete nuove scure, acerbe e felle.
E quel ch döæ a me pena e dolore,
Che alla dolente Madre sfortunata,
Veggio un coltel che le trapassa il core.
Quando vedröæ la mia testa tagliata
Dal delicato mio candido busto,
Colla faccia cruenta insanguinata.
Allora sentiröæ l'amaro gusto
La mia dolente Madre, e miei Figliuoli,
Sentendosi ferir dal duolo ingiusto.

E tu Lorenzo mio, s'ora ti duoli
Del caso acerbo della Madre tua,
Or di che altro mal doler ti vuoi.
Piglia la cura ormai delle tue due
Sorelle afflitte, che per amor mio
Ognuna mostreröæ le doglie sue
E tu sola mia speme, e mio desio,
O Pietro figliuol mio, tu sai ben certo,
Che quanto amar si puö_, ti ho amat'io.
Mostrate a ciaschedun chiaro ed aperto
Il vostro gran dolor con negri panni:
Poich per amor vostro quest'ho sofferto.
E voi care figliuola, in tant' affani
Siete restate senza alcuna guida,
Piangete i vostri, e li gravi miei danni.
La doglia vostra  ch'io pianga e grida,
E morir sconsolata, e mai contenta,
N ho altro dolor, che piö_ m'uccida.
Poich per voi ogni salute e spenta,
Ricorro inginocchioni al mio Signore,
Che faccia vostra voglia alfin contenta.
Io benedico voi con tutto il cuore,
E benedetto abbiate mie fatiche
Mie pene, miei affanni, e mio dolore.
Io benedico a voi tutte le brighe,
E le liti, e i travagli, ed i cordogli.
E che vi salvi Iddio di tali intrighi.
Ti prego, Signor mio, che tu raccogli
Dentro le braccia tue i miei Figliuoli,
Che della tua salute non gli spogli.

Libera, Signor mio, da questi duoli
Li grandi e piccolin di mia famiglia,
E salvi giungan a tuoi superni Poli.
Ti raccomando ancora l'altra Figlia,
E di tal pregio Iddio mi essudisca,
Che sol da me ciascun esempio piglia.
Di confortar mia Madre non ardisca,
Nessun, perch  immersa in tal martore,
Ch'arde di doglia piö_ ch'al fuoco l'isca.
Essendo io quella, ch'ogni bel tesoro
Ho posseduto al mondo, e fui felice,
Ed or dal ceppo crudelmente moro.
Ero fra tutte l'altre una Fenice,
Or son' un animal posto al macello,
Per quel peccato mio, che dir non lice.
Chi si confida al mondo, e pensa a quello
Riguardi me ch'or vado alla giustizia
In gioventö_ nel tempo mio piö_ bello.
Non valse a me favore, e amicizia
Di tanti gran Prelati e gran Signori,
Che qui non  ripar contro giustizia.
Settantacinque giorni tra'Dottori,
E medici fu visto il caso mio,
E disputato in fra Procuratori.
Il Principe Divin clemente e pio,
Non volle avermi in ciö_ remissione,
Per non offender la giustizia e Dio.
Dal primo giorno, ch'io entrai prigione,
Sempre fui certa di dover morire,
Se il luogo suo si dava alla ragione.

Ed ogni volta, ch'io sentivo aprire
L'uscio della prigion, m'immaginava,
Che in Cappella dovessi allor venire.
Ogni romor nel cor tremor mi dava,
E per gran pezzo mi batteva il petto,
Che d'ora in ora tal morte aspettava;
E quando men pensava a tal effetto,
Allor venne per me la compagnia,
Che poco piö_ se stava, andavo a letto.
Poi sentii quella porta, che s'apria,
Dissi alla mia compagna, Iddio m'ajuti,
Che io veggio l'ora della morte mia.
Poi quando c'ebbi visto e conosciuto
Colui, che aveva in seno il mio mandato.
Gli dissi, amico, a che far sei venuto?
Ecco il mio corpo pronto e preparato
A sopportar la vera penitenza,
Secondo l'error mio del mio peccato:
Ecco colei, che si fa dir Prudenza,
Bench prudenza e senno non mostrasse,
Quando offese d'Iddio l'alta Potenza.
Poi pregai ciaschedun, che m'ascoltasse,
E piö_ d'ogni altro pregai il Capitano,
Che io quella notte non m'abbandonasse.
Del che ne fu cortese, e tutto umano,
Dopai gli domandai carta ed inchiostro,
Che scriver io volea di propria mano.
Lui rispose, e disse al piacer vostro
Saröæ ciö_ che sapete domandare,
Di tutto quello, che  in poter nostro.

E subito mi fece löå portare
Da scriver notando molte cose,
Che cominciö_ ciascun a lacrimare,
Udendo le mie preci lacrimose,
Tutti li circostanti m'ascoltaro,
Come persone nobili e pietose.
Dopoi mostro mi fu quel Signor caro,
Quello che per noi volle morire,
E gustar sulla Croce fele amaro.
Poi fece il Sacerdote a me venire,
E fatta ch'ebbi la mia confessione
Io mi disposi a volentier morire.
Pregando sempre tutte le persone,
Che pregasser per me l'Eterno Iddio,
Che avesse al mio fallir remissione.
Cosi quel popol mansueto e pio,
Colla verretta in mano in mia presenza,
Fecer piö_ che non disse il parlar mio.
Dipoi con umiltade e riverenza,
Pregai tutte le Donne, e le Figliuole,
Ch'oggi esempio pigliasser da Prudenza.
Finito ch'ebbi a dir queste parole,
Inginocchion mi posi al gran supplizio,
E feci l'orazion, che far si suole.
Dicendo: Padre io vengo al sacrifizio,
Piacciati per tua gran misericordia
Donare all'alma afflitta il grato espizio.
Ed a tutti costor pace e concordia.

FINE.

Sonetto della morte di Madonna Prudenza.

Non credei, che a tanta mia bellezza
Mancasse ajuto, forza, n favore:
Ma la giustizia del preclar Signore
Poco beltade, e men favore apprezza.

Ahim, misera me! che in gran sciocchezza
Incorsi, come avviene al peccatore,
Vinta dall'ira, femminile errore,
Finöå mia vita, ed ogni mia grandezza.

Giovine nell'etöæ di ventotto anni
Offersi il capo mio alla giustizia
Per non pensar a'miei futuri danni.

E i miei cari Figliuoli in puerizia
Feci vestir per me di negri panni,
Dini strando a ciascun l'alta mestizia.













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Lucca 1823

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